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sabato 8 marzo 2014

Otto Marzo, se vedo una mimosa la rivendo

Se l'Otto Marzo ha da essere, che sia contro la marginalità di quelle donne che, facendo le cose senza avere soldi, devono farle un po' più piccole, un po' più svelte, un po' più faticose, così mi hanno detto parecchie donne che conosco, che se vedono una mimosa se la rivendono: il problema vero, oggi, è di sopravvivere sulla scena di un mondo che ti fa pagare anche quello che non consumi.

Foto di Alessandro Barcella
Vediamo di non essere ipocriti, l'universo maschile occidentale ha considerato per millenni le donne come parte dell'arredo domestico, roba loro, differenti solo per la tendenza a fare figli: poi venne il Sessantotto, l'Otto Marzo, e gli uomini hanno cominciato controvoglia a festeggiarle con il rituale collettivo del mazzo di mimose.

E parecchie di loro stavano magari pensando: fa freddo, ma perché non mi ha regalato un paio di guanti?

Altre donne, in altri ambienti, si ritrovavano, al telefono, oppure incontrandosi per festeggiare, conteggiando quelle che ritenevano essere state le loro importanti conquiste: del fatto che avevano un rapporto uterino con la storia, storico con l'utero, intimo con la vita e con la morte, schizzinoso con la volgarità e dionisiaco col sesso.

Alla perenne conquista del mondo, ancor diverse dagli uguali ma pari ai diversi: dopo tre giorni le mimose avevano fatto il marcio nell'acqua e l'odore era di camposanto femminile: gli uomini riprendevano a considerarle chi con terrore, chi con cieca dedizione, come sempre ad esercitarsi in varie sociologie su “noi” e su “loro”.

Sarebbe proprio una bella cosa se, oggi, il rito collettivo dell'Otto Marzo potesse finalmente trasformarsi nel momento in cui entrambi i “generi”, sforzandosi per superare ogni forma di steccato ideologico e culturale, provassero concretamente a mescolarsi per cambiare i destini di questo mondo cinicamente asessuato e sempre più alla deriva.