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domenica 3 agosto 2014

“Governare gli italiani non è difficile, è inutile”

Per alcuni potrà anche essere consolatorio liquidare con l'appellativo di “gufi” tutti coloro (non solo ex comici ma anche autorevoli economisti) che, già da diversi anni, affermano che quella che stiamo vivendo è la più grande crisi mai occorsa da secoli, perché è globale e perché è basata sul debito: un indebitamento di tutti con tutti, causato innanzitutto da un eccesso di promesse, essendo comunemente risaputo il fatto che ogni promessa è debito.

Tutto inizia quando una persona comunica di avere un bisogno e, il fatto stesso che lo comunichi, significa che non è in grado di soddisfarlo autonomamente, tanto da rivolgersi ad altri per chiedere aiuto, il che vale a dire, direttamente o indirettamente esprimere un desiderio: sta tutto qua l'inghippo, perché il bisogno è un fatto reale e concreto, mentre il desiderio rappresenta solo la sua espressione psicologica.

Le due cose, lungi dal coincidere, il più delle volte non sono anzi nemmeno collegate, come dimostrano l'esempio della moda e quello della pubblicità, che fanno desiderare cose di cui, nella maggior parte dei casi, non abbiamo affatto bisogno: così, uno ha la necessità di coprirsi ma, per qualche oscuro motivo, desidera proprio una giacca di Armani perché gli è stato fatto credere che, grazie a quell'oggetto, avrebbe soddisfatto sia un bisogno che un desiderio.

Le promesse hanno, comunque, qualcosa che le accomuna ai desideri: vengono formulati entrambi attraverso il linguaggio, sono soltanto “parole”: viviamo in un modello di società in cui i desideri vengono alimentati da promesse fatte in anticipo, e poi gestiti e soddisfatti da altre promesse, al punto che promesse assolvono al subdolo compito di spostare nel tempo le risposte.

Questo slittamento, questo calcolato ritardo nel soddisfare le domande, crea alla fine debito il quale, venendo a sua volta spostato in avanti e “rifinanziato” con nuove promesse, si espande trasformandosi in un indebitamento etico, politico, culturale, psicologico, economico, totale ed esponenziale: l'esempio più evidente è ogni giorno sotto i nostri occhi, basta avere la voglia di aprirli e guardare.

Dal dopoguerra ad oggi l'Italia sembra essere costantemente impegnata in un'infinita, indeterminabile, assemblea di condominio in cui, a cadenze regolari, viene chiesto ai condomini di votare per il rinnovo dell'amministrazione: tutti si lamentano del vecchio amministratore, lo ritengono inadeguato, se non addirittura incapace o, peggio, colluso per interessi personali.

Ma siamo in un Paese conservatore, perennemente spaventato dal cambiamento, dove gli abitanti fondamentalmente se ne fregano che le promesse vengano effettivamente mantenute, anche a costo di lamentarsi all'infinito dell'amministratore condominiale: perché tutto questo? Forse, come diceva Benito Mussolini, perché “governare gli italiani non è difficile, è inutile”.

domenica 9 marzo 2014

Europa sì, Europa no, la guerra dei cachi

Checché se ne dica, la vera asimmetria che sta sgretolando l'Europa non è quella tra unione monetaria (realizzata) e unione politica (inesistente), bensì quella lasciata alla discrezione degli Stati nazionali a proposito di fiscalità, diritti e protezione dei lavoratori.

Nell'attuale scenario di crisi, sempre più spesso si sente proporre, quale unica alternativa all'euroscetticismo, uno scatto in avanti verso l'unione politica: purtroppo non è affatto vero che questo gioverebbe, da solo, a risolvere i profondi problemi che affliggono in modo quasi incurabile gran parte dell'Eurozona.

Per un motivo molto semplice: tra Europa sì, Europa no, la guerra dei cachi si combatte tra le politiche economiche comunitarizzate (moneta unica e concorrenza) e quelle lasciate in balia dei singoli governi nazionali, vale a dire quelle relative alla fiscalità, diritti e protezione dei lavoratori.

Siccome le decisioni europee su queste materie devono essere assunte all'unanimità, è sufficiente che uno stato membro sia contrario per far sì che non vi possano essere regole fiscali comuni: ed è proprio grazie all'assenza di soglie minime condivise di tassazione che le imprese hanno finora potuto fare arbitraggio fiscale, creando o spostando filiali operative nei Paesi dove la tassazione era più conveniente.

Questo ha ingenerato, a sua volta, una concorrenza al ribasso per quanto riguarda la tassazione delle imprese: in qualche caso nella forma di aliquote più basse che in passato, in altri casi -come in Italia e in Grecia- attraverso l'incremento dell'evasione fiscale.

L'ovvia conseguenza, visto che i vincoli di Maastricht imponevano soglie basse di deficit, è stato l'aggravio del carico fiscale sulle persone fisiche (in particolare lavoratori dipendenti e pensionati), accompagnato da una progressiva riduzione delle prestazioni sociali erogate dai singoli stati.

Lo stesso meccanismo del voto unanime vale per quanto riguarda le politiche sociali e dell'impiego, standard di protezione e livelli salariali minimi: anche in questo caso l'Europa ha lasciato tutto alla decisione dei singoli stati, contribuendo ad ingenerare un'ovvia riduzione delle protezioni e dei diritti.

L'imminente consultazione elettorale pone dunque alcuni imperativi, soprattutto a quelle forze politiche che, come il MoVimento 5 Stelle, intendono impegnarsi per un vero cambiamento: a partire dalla modifica di quei presupposti sociali regressivi e di quel liberismo mercantilista, su cui sono state costruite tutte le politiche europee, almeno a partire dall'Atto unico europeo del 1986.

Infatti, se non si porrà fine alla guerra dei cachi, ovvero alla concorrenza al ribasso tra i Paesi dell'Eurozona in materia di politiche fiscali e di protezione del lavoro, non sarà mai possibile realizzare una politica economica comune, al punto che anche la sola idea di un'unione politica, quale panacea per risolvere tutti i mali del Vecchio continente, finirebbe con il rappresentare un'ulteriore, cocente delusione.

martedì 27 agosto 2013

Allarme salute: Trovate sostanze cancerogene anche nelle e-cig

Premesso che la cosa migliore da fare, per un fumatore, sarebbe quella di non esserlo più, bisogna pur dire che, anche grazie all'introduzione sul mercato delle cosiddette e-cig, sempre più fumatori hanno, quantomeno, iniziato a prendere in considerazione l'idea di smettere con il fumo.

Ma, a quanto pare, anche le sigarette elettroniche conterrebbero sostanze cancerogene.
A lanciare l'allarme è stata la rivista d'oltralpe "60 Millions de Consummateurs", a seguito di uno studio scientifico, pubblicato dall'Istituto nazionale del Consumo (Inc).

Come spiega il caporedattore, Thomas Laurenceau, i risultati delle analisi condotte da esperti della rivista francese, avrebbero evidenziato molecole cancerogene in quantità significative, mai riscontrate finora, nel vapore delle e-cig.

Gli stessi ricercatori avrebbero, inoltre, constatato che in 3 casi su 10, il tasso di formaldeide contenuto sia nei prodotti “con”, che in quelli “senza” nicotina, risulterebbe quantomeno pari a quello delle sigarette tradizionali.

L'analisi avrebbe rilevato, senz'ombra di dubbio, che l'acroleina (molecola particolarmente tossica) verrebbe emessa in quantità importante, nonché in percentuali a volte addirittura superiori a quelle misurate nel fumo di alcune sigarette.

Presenti, infine, nella sigaretta elettronica anche l'acetaldeide (sostanza classificata come potenzialmente cancerogena), nonché, in alcuni dei modelli esaminati, anche tracce di metalli, come cromo, nichel e antimonio.

Dalle verifiche effettuate, sono inoltre emerse discrepanze tra quanto riportato dalle etichette, ed effettiva composizione delle e-cig, in particolare per quanto riguarda la presenza e le quantità di nicotina e glicole propilenico.

Visti i risultati, alle associazioni dei consumatori non è rimasto altro da fare che avvertire le competenti autorità sanitarie, invitandole ad una maggior sorveglianza sull'evolversi del nascente e redditizio mercato delle sigarette elettroniche.

A tale proposito, nelle scorse settimane il Parlamento francese aveva già votato un emendamento per vietare l'uso delle e-cig ai minori di 18 anni, mentre il Ministro della Salute, Marisol Touraine, dopo aver deciso di vietarne l'uso nei luoghi pubblici, sta predisponendo una circolare che ne vieti anche la pubblicità, come già per le sigarette tradizionali.

Dopo parecchi annunci e relative smentite -autentico tratto distintivo dei politici che governano il nostro Paese- in Italia vige, al momento, il solo divieto di vendita di e-cig con presenza di nicotina ai minori di 18 anni: perché non vietare, anche da noi, la pubblicità di questi prodotti?

giovedì 1 agosto 2013

Studio e lavoro: Conta più l'esperienza o il titolo di studio?

E' proprio vero che, oggi, nel mondo del lavoro l'esperienza conta molto di più del titolo di studio?
Se sì, cosa deve fare un giovane per crearsela, non appena finiti gli studi?

Per dare risposta a queste domande, il sito web Skuola.net si è rivolto alla prof.ssa Michéle Favorite, Professor Business and Communication, presso la John Calbot University.

Secondo la docente, un titolo di studio che non sia portatore di esperienza pratica -ai giorni nostri- è del tutto anacronistico: nel sistema di studi americano, ad esempio, allo studente non viene chiesto “Cosa sai?”, ma “Cosa sai fare?”.

Mentre in Italia, purtroppo, ai ragazzi viene somministrato quasi sempre uno studio teorico, al punto che viene da chiedersi: che valore può aggiungere in azienda, un giovane che ha studiato solo principi, regole, teoremi, e non li ha mai messi in pratica?

In ogni caso, un ragazzo può sempre maturare esperienze lavorative, anche quando ancora studia.
Pur se di questi tempi, anche per uno studente, non è tanto facile trovare occupazione, ciò non significa che sia impossibile.

Detto che i ragazzi potrebbero anche inventarsi un'occupazione non retribuita, giusto per provare a cimentarsi, esiste, altresì, tutta una serie di lavori adatti a loro: cameriere in un ristorante o bar, animatore in un centro vacanze, collaboratore per siti web o blog, ecc.

Ma vanno più che bene anche le attività di volontariato di vario genere, senza contare che i lavori si possono anche inventare come, ad esempio, fare il baby sitting (ripetizioni doposcuola).

Piccoli lavori che, in ogni caso, insegnano ai ragazzi ad essere responsabili, a saper gestire il proprio tempo, ad essere intraprendenti, nonché a saper lavorare con gli altri.

Infine, il consiglio della docente è quello di guardare cosa fanno i giovani all'estero: in Paesi come la Cina e la Corea del Sud, la giornata-tipo al liceo dura fino alle 11 di sera.

Esagerati? Forse, ma poi sono quelli gli studenti che vengono ammessi nelle migliori Università americane, con borse di studio piene.

Oppure i ragazzi americani, che già a 20 anni hanno curricula stracolmi di esperienze lavorative e di volontariato, da far fatica a restringere il tutto in una pagina.

Non a caso, però, questi giovani appaiono motivati anche da un forte senso civico, ritenendo che i loro sforzi servano a migliorare il benessere generale.

Forse un pizzico di senso civico in più, potrebbe essere utile per spronare in tal senso anche i ragazzi italiani?